Già il filosofo torinese N. Bobbio aveva richiamato più volte la necessità del sorgere di una “coscienza atomica”, una coscienza della tragicità della guerra condotta attraverso le armi nucleari, che possiamo considerare ormai affermata oggi. Infatti, la tragedia avvenuta su Hiroshima e Nagasaki nel 1945 stende ancora un ampio velo di amarezza negli animi di chi legge le pagine della storia.

Ma nell’epoca contemporanea ciò che nell’immaginario collettivo rappresenta un pericolo per l’uomo e per l’ambiente circostante non è soltanto l’utilizzo del nucleare per scopi bellici, bensì anche il suo utilizzo in campo energetico.

Tale fenomeno non meraviglia se si pensa che l’ultimo allarme proveniente dal settore dell’energia atomica è sorto proprio in questi ultimi giorni dal territorio francese, dove è noto che attualmente circa il 78% del fabbisogno di energia elettrica è soddisfatto dalla produzione di energia nucleare.

Nel corso dell’intervista rilasciata dal presidente dell’Authority francese sulla sicurezza nucleare (Asn) – Pierre-Franck Chevet – a le Figaro si evince una preoccupazione per la produzione di energia nucleare in Francia, dal momento che è stata scoperta una quantità di carbonio nell’acciaio che compone l’involucro del reattore EPR in costruzione a Flamanville superiore a quella prevista. Tale eccesso potrebbe inficiare la capacità di resistenza meccanica dei generatori di vapore radioattivo (Ginori, A., Centrali nucleari, l’Authority francese ai media: “Siamo molto preoccupati”, La Repubblica, 23 novembre 2016).

Dalla rilevazione di possibili problemi al reattore EPR di ultima generazione, l’Asn ha esteso l’indagine ai più vecchi, obsoleti e perciò potenzialmente insicuri reattori nucleari francesi. Pertanto, al fine di effettuare ulteriori controlli è stata fermata l’attività di 18 reattori su 58, all’interno del parco nucleare francese.

Inoltre, dai controlli è emerso che per lungo tempo sono stati censurati e/o apparentemente falsificati circa 400 dossier descrittivi dell’attività dei reattori e ciò farebbe dubitare della reale sicurezza degli stessi, tanto che l’Asn ha richiesto, per gli opportuni controlli, altri 10.000 dossier (Grassia, L., Francia, stop a 18 reattori nucleari, La Stampa, 23 novembre 2016).

Quale possibile soluzione ai problemi del nucleare francese, dunque?

La soluzione esiste oltreconfine, in Italia, dove da oltre dieci anni si sta sviluppando una nuova tecnologia per la produzione di energia elettrica sfruttando i venti troposferici: KiteGen.

I venti di alta quota oggi rappresentano la nuova frontiera nelle modalità di produzione energetica dal momento che le loro caratteristiche li rendono un prezioso giacimento: consistono, infatti, in correnti d’aria costantemente presenti ed intense che soffiano ad un’altitudine compresa tra i 500 e i 10.000 metri.

Gli aspetti vantaggiosi dello sfruttamento di tale fonte di energia sono stati percepiti dall’italiano Massimo Ippolito, ideatore della tecnologia KiteGen, che attualmente è titolare di ben oltre 40 brevetti registrati a livello internazionale.

La macchina si compone di una base a forma di Igloo – con un diametro di 12 metri e un’altezza di 5,7 metri – sul quale sono posizionati due bracci (Stem) lunghi 36 metri ciascuno e alle estremità dei quali è collegata un’ala semirigida, la Power Wing, collegata alla base da due funi lunghe 2000 metri, costituite da fibre sintetiche molto resistenti e leggere.

Al momento del decollo l’ala acquista portanza svolgendo le funi, raggiungendo un’altitudine compresa tra i 600 e i 2000 metri dove incontra i venti troposferici. Mediante un sistema di sensori, attuatori e segnali radio, un calcolatore, fruttando un modello fisico predittivo, conferisce all’ala una configurazione tale da massimizzare il lift (la forza aerodinamica) e minimizzare la resistenza al moto. La sua traiettoria di volo, essendo controllata da un sistema computerizzato, è impostata dunque per massimizzare la produzione di energia, garantendo allo stesso tempo condizioni di assoluta sicurezza. Durante il volo il lift dell’ala esercita una forte trazione sulle funi che, srotolandosi, mettono in rotazione pulegge e tamburi ai quali sono collegati un certo numero di moto-alternatori, consentendo di conseguenza la produzione di energia elettrica. Raggiunto il massimo svolgimento, l’ala acquisisce poi una configurazione di assenza di carico e gli alternatori utilizzati come motori riavvolgono le funi sino alla quota in cui l’assetto di volo dell’ala viene ripristinato. Il consumo di energia in questa fase è pari a una frazione minima rispetto a quella di generazione durante lo srotolamento delle funi.  A tal punto riprende il ciclo di produzione che per questo motivo è definito a yo-yo e che viene ripetuto continuamente. La costanza e l’intensità dei venti di alta quota garantiscono continuamente le condizioni di produzione di energia rendendo in tal modo irrilevante il problema dell’intermittenza che affligge l’eolico tradizionale.

I principali punti di forza della tecnologia KiteGen consistono nell’assenza di emissione di CO2, nello sfruttamento di un giacimento energetico illimitato, costante e presente ovunque, nel basso impatto ambientale, nella facilità di installazione – dal momento che si compone di strutture di piccole dimensioni e facilmente trasportabili, senza richiedere un’infrastruttura ad hoc -, nell’alto valore del rapporto tra energia ottenuta ed energia spesa per ottenerla (EROEI), e nei costi di manutenzione contenuti – poiché la macchina è gestita interamente al suolo.

Dunque, perché non scegliere KiteGen come tecnologia di produzione energetica all’avanguardia? Una tecnologia attraverso cui sarà possibile fornire, in quasi ogni parte del mondo, grandi quantità di energia ciò senza richiedere grandi strutture, in assenza di pericoli sia per l’uomo sia per la natura e a costi estremamente competitivi con quelli attualmente praticati sul mercato.

di Carmen D’Auria